Nella parashà di Metzorà (quest’anno Shabbàt Haggadòl – il Sabato che precede Pesach) viene descritta fra l’altro la procedura da seguire nel caso si fosse presentata su una parete di un’abitazione, in terra d’Israele, una particolare macchia, sospettabile di essere del tipo di piaga che la Torà definisce come tzarà’at; il proprietario della casa doveva recarsi dal sacerdote e chiedere il suo intervento con questa affermazione: “una specie di macchia mi è apparsa nella casa” (Lev. 14, 35). I Maestri si interrogano sulla modalità di questa affermazione che lascia trapelare il dubbio (che in realtà non sussiste; ovvero la macchia sicuramente c’è, resta da vedere se è Tzara’at o meno!).
Rashì spiega che anche se il soggetto era egli stesso un Maestro, quindi forse in grado di riconoscere – non solo la presenza di una macchia, ma – l’effettiva natura di quella macchia specifica, doveva comunque formulare la richiesta al sacerdote esprimendo il dubbio e l’incertezza del caso.
Molti interpretano questa norma come un richiamo ad educarci a non essere troppo sicuri dei nostri giudizi, a mostrare incertezza e mettere da parte la nostra sicumera: “Insegna alla tua lingua a dire – non lo so”; un criterio di comportamento, questo, specialmente opportuno laddove si tratti di questioni che non sono di nostra specifica competenza. La capacità di mettere in dubbio le proprie personali valutazioni è, particolarmente ai giorni nostri, un utile metodo per imparare a recepire con spirito critico le tante informazioni che ci vengono invece trasmesse dai media con la pretesa di essere certezze assolute e giudizi insindacabili.
Ma dire “non lo so” è importante anche quando si parla di Torà o di Halakhà: a volte ci viene chiesta una domanda e noi ci sforziamo di trovare una risposta per non sembrare ignoranti; la cosa migliore da fare invece in questi casi è dire “non so, mi informo, chiedo”, non solo perché con la Torà o la Halakhà c’è poco da scherzare, ma anche per darci modo di studiare, di approfondire di andare a fondo delle cose e non fermarsi alla loro superficialità.
Questo tema ben si collega con la festività di Pesach cui andiamo incontro; a ben guardare, le Mizvot del Sèder non sono poi così tante e il tutto potrebbe esaurirsi in un’ora al massimo. Eppure, trascorriamo lunghe ore alla tavola del Seder, vuoi per leggere e commentare i testi della Haggadà, vuoi per compiere una serie di usanze a volte sorprendenti, vuoi – per i più saggi – studiare argomenti relativi all’uscita dall’Egitto. Alla nostra tavola è presente qualcuno “che non sa nemmeno porre la domanda”… E dall’altra parte del tavolo ci siamo in vece noi “che sappiamo tutto”…Eppure ogni anno ci si ritrova con il medesimo cerimoniale ripetuto pedissequamente, ma con rinnovato desiderio di capire, studiare, leggere, approfondire. Fose il Seder è la ricorrenza del “non so”…