Una parte importante del libro di Bereshit è dedicata alla vita di Abramo, il primo ebreo. Tuttavia, la Torah ci presenta Abramo quando questi ha già 75 anni.
A quel tempo, Abramo era in realtà già in grado di guardarsi indietro e ritenersi più che soddisfatto dei successi raggiunti; da bambino, la sua mente curiosa scopriva una verità più grande implicita nel funzionamento dell’universo, e giunse a conoscere il Dio unico. Un uomo solo che, contrapposto al mondo intero, ha combattuto la radicata perversità pagana del suo tempo, portando molti a una vita di credenze e moralità monoteiste. Ma poi venne un evento di tale importanza che eclissò i primi sette decenni e mezzo della vita di Abramo. Un evento che ha segnato l’inizio di una nuova entità – l’ebreo – e ha ridefinito il cammino della vita. L’evento fu la chiamata di Dio ad Abramo: “Vai (via) per te, dalla tua terra, dal tuo luogo di nascita e dalla casa di tuo padre, alla terra che ti mostrerò”. Ora che hai realizzato la piena capacità dei tuoi poteri e ne sei cosciente, ti mostrerò un luogo che è l’essenza del tuo essere, un luogo che si trova al di là della terra, del tuo luogo di nascita e della casa del padre che conosci.
Sono i tre i fattori principali che caratterizzano ciò che siamo: l’istinto, l’ambiente che ci circonda e la Ragione.
Iniziamo la vita con un programma già attivo che definisce le pulsioni e le inclinazioni che formano una psiche e un carattere innati. Poi inizia, dal momento della nascita, l’influenza del nostro ambiente, mentre genitori, insegnanti e coetanei imprimono le loro maniere e le loro attitudini sulle nostre anime. Infine, raggiunta la maturità intellettuale, prevale una forma di auto-influenza: solo all’uomo, tra tutte le creature di Dio, è stato concesso un intelletto oggettivo con il quale può, in larga misura, controllare gli stimoli a cui è esposto e il modo in cui essi lo influenzeranno. Con la sua mente, ha il potere di sviluppare sè stesso al di là – e persino in contrasto – di ciò che ha di genetico e che fino a quel momento lo ha condizionato.
Questo è il significato più profondo delle parole “la tua terra, il tuo luogo di nascita e la casa di tuo padre” nella chiamata di Dio ad Abramo.
In ebraico la parola Eretz – terra – è etimologicamente correlata alla parola ratzon – volontà e desiderio; così “la tua terra” si può anche leggere come “i tuoi desideri naturali, il tuo istinto.
“Il tuo luogo di nascita” – moladtechà – è un riferimento all’influenza della famiglia e della società.
E “la casa di tuo padre” – bet avicha- , si riferisce all’uomo come un essere maturo e razionale, che ha oramai forgiato la sua mentalità, il suo carattere e il suo comportamento con l’oggettività trascendente dell’intelletto.
Per gli standard convenzionali, questo costituisce il massimo della realizzazione umana: lo sviluppo dei propri istinti naturali, fare proprie le verità apprese e osservate e il riprogrammare sé stessi attraverso la mente e la Ragione.
Ma c’è un sé superiore per l’uomo, un sé libero da tutto ciò che definisce e limita l’essere umano. Questa è la scintilla della Divinità che è il nucleo dell’anima, l’essenza divina che Dio ha soffiato quando crea l’uomo e la stessa immagine di Dio in cui è stato creato: la terra – eretz – che Dio promise di mostrare ad Abramo.
Nel suo viaggio di scoperta, Abramo deve ovviamente lasciare la terra, il luogo di nascita e la casa paterna della sua nativa Mesopotamia; deve ovviamente rifiutare la cultura pagana di Ur Kasdim; ma non è questa la partenza di cui si parla nel nostro versetto; Dio si rivela ad Abramo molti anni dopo che Abramo ha misconosciuto l’idolatria, dopo che ha conosciuto e riconosciuto il Dio Unico e anche dopo che le sue attitudini hanno influenzato la società che lo circondava. La chiamata di Dio ad Abramo gli impone di lasciare la sua natura, le sue abitudini e il suo essere razionale: ora che Abramo ha rifiutato le sue origini idolatre così negative, ma anche di trascendere dai suoi successi:
La perfezione umana – ammesso che esista – comunque non sarebbe sufficiente; perché qualsiasi cosa umana – anche l’intelletto oggettivo e trascendente – è sempre e comunque parte integrante della realtà creata e ne è soggetta.
Eppure Dio ci invita – nel Suo primo comando al primo ebreo – a sperimentare ciò che trascende ogni limite e definizione: Lui stesso. Ma per poter sperimentare L’Uno che è con noi, dobbiamo lasciare i nostri limiti, le nostre attitudini e trascendere anche il nostro intelletto: solo allora potremo conoscere “il noi che è Uno con Lui”.