In memoria di Benyamin Ben Yitzhàk z’l
Per questo commento, utilizziamo una forma di studio legata al testo:
וַיִּהְיוּ חַיֵּי שָׂרָה מֵאָה שָׁנָה וְעֶשְׂרִים שָׁנָה וְשֶׁבַע שָׁנִים שְׁנֵי חַיֵּי שָׂרָה
E fu la vita di Sarah, cento anni e venti anni e sette anni, gli anni della vita di Sarah.
Rashì: Il motivo per il quale “anni” è ripetuto ad ogni dettaglio è per insegnarci che ognuno (ogni gruppo) va spiegato a sé; a cento anni era priva di peccati come a venti, ed a venti anni era bella come a sette.
La spiegazione di Rashì non ci è sufficiente; infatti, nel versetto, la parola “anni” ricorre un’altra volta oltre a quelle spiegate nel commento:
La terza volta che il versetto scrive ”anni” , lo fa nella forma plurale e ci insegna che tutti gli anni della sua vita erano ugualmente buoni per lei.
Ma ciò a sua volte pone un ulteriore problema: guardiamo in breve alcuni momenti che hanno caratterizzato appunto la vita di Sarah:
…Non poteva avere figli…
…Per dare un discendente ad Avràm, ha dovuto dargli dare la sua schiava in moglie…E’ poi però costretta a pentirsene e ciò è causa di dissidio col marito…
…Da questa unione nasce Yshmaèl (subito!) che le darà non pochi problemi…
…Dopo che finalmente le nasce un figlio, Yitzchak, deve cacciare Yishmaèl primogenito del marito…
…La Akedà di Yitzhack (che “in un modo o nell’altro” la porterà alla morte)…
Questo non è esattamente ciò che si intende come anni buoni…Non lo sono per noi che leggiamo, ma, in realtà, per lei erano davvero tutti ottimi ed era soddisfatta della vita che ha vissuto, come insegna la Mishnà nei Pirkè Avot (4:1): “chi è davvero ricco? Chi si accontenta di ciò che ha”.
Inoltre, l’ultima ricorrenza della parola “anni” viene spiegata anche in maniera diversa:
la parola שְׁנֵי (let. “gli anni della vita…) può anche essere tradotta come “le 2 vite di…”
I maestri insegnano che Sarah ha vissuto due vite: una prima della nascita di Izchack e una dopo la sua nascita, questo senza nulla togliere al suo apprezzamento anche per gli anni che precedettero la nascita di Izchak.
Possiamo ora anche affrontare il problema relativo al nome della Sidrà –חַיֵּי שָׂרָה appunto, la vita di Sarah -, mentre in realtà all’interno di questa Parashà si tratta di ben due morti “eccellenti”: quella di Sarah e quella di Avrahàm.
I maestri spiegano che “chi lascia discendenti in vita, è come se lui stesso fosse in vita”. “Discendenti” non si riferisce esclusivamente al rapporto “genetico, biologico”, ma più che altro agli insegnamenti che vengono trasmessi ai figli ed ai nipoti e che vengono da questi portati avanti, come accade quando si semina qualcosa; lo si cura e poi – nel tempo – se ne godrà il raccolto; ma il raccolto è assolutamente legato a ciò che viene seminato!
E’ esattamente ciò che fecero Avrahàm e Sarah ed è per questo motivo che se anche la Torah tratta della morte di Sarah (e di Avraham), la parashà si chiama “la vita …”