Come in tutti gli aspetti dell’approccio di Rav Kook alla Torà ed alle Mizvòt, troviamo anche in questo campo un modo di vedere le cose da un’angolazione particolare che ci pare probabilmente originale e che riflette la profondità della sua filosofia.
“L’unico modo per guarire davvero una persona è quello di fargli scoprire le sorgenti di forza e benessere che sono nascosti nel suo essere”; con queste parole, Rav Kook anticipa il tema della Teshuvà, trattato molto in dettaglio nella sua opera “Oròt HaTeshuvà”, da cui molti degli spunti che studieremo.
In ogni individuo risiede un inconscio che possiede qualità straordinarie, coraggio infinito e una forza che non viene quasi mai sfruttata; dalla profondità di queste potenzialità, l’Ebreo può trarre tutti gli strumenti per influenzare positivamente il suo modo di essere, di vivere e di confrontarsi col mondo che lo circonda. La parte di noi stessi che conosciamo e ci è rivelata è invece quella superficiale, esterna, che di per sé è corrotta dai nostri errori ed inquinata dalla manifestazione fisica dei nostri malesseri spirituali, ma non solo: la maggior parte del propellente che spinge la nostra materialità ad emergere è dovuta ad interventi esterni che muovono le nostre azioni ed anche i nostri pensieri. Questo fa sì che il nostro inconscio spirituale sia soffocato, non possa esprimersi e ciò impedisce alle nostre forze positive e spirituali di intervenire per il nostro benessere., provocandoci un malessere talmente persistente da non essere più riconosciuto come tale.
La Teshuvà, il ritorno, è possibile solamente attraverso una crescita individuale. L’obiettivo della crescita -qualsiasi essa sia – è quello di posizionare e sfruttare correttamente tutte le nostre facoltà ed i nostri poteri, nonché il nostro talento e le nostre ambizioni, senza farci confondere da elementi esterni erroneamente definiti come “naturali”, ossia inevitabili, imprescindibili.
Dio ha creato sia il mondo che l’uomo dando ad entrambi tutti gli strumenti per crescere, sia materialmente che spiritualmente; quando questo ordine viene sovvertito, quando l’apparente normalità prende il posto di ciò che il Signore ha ordinatamente sistemato, il risultato può essere solo danno e catastrofe.
Sotto questo punto di vista non si parla più solo di “ritorno verso Dio”, ma di “ritorno a noi stessi”.
Il pensiero di Rav Kook è molto profondo: solo riconciliandoci con noi stessi, ritrovando in noi il giusto
Trattandosi di crescita e non di cambiamento repentino, questo deve avvenire per gradi e ci sono dei passaggi che non possono essere saltati: pensare di trasformarsi in “zadik” non porta alla crescita, ma probabilmente al fallimento.
Gli step necessari al nostro sviluppo passano per una conoscenza graduale della Santità e rappresentano un percorso che non ha mai fine; la ricerca del proprio benessere non si può fermare perché i misteri della vita ci pongono di fronte a continue scelte che possono radicalmente cambiare il nostro Io.
Il primo passo consiste nel conoscere i propri limiti e nel tentare di riparare ciò che siamo in grado di riparare; a volte è più facile aspirare a ciò cui non arriveremo mai, evitando così di concentrarci su ciò che oggi saremmo invece in grado di affrontare e di cambiare!
Scendendo nel pratico, Rav Kook afferma che esistono due tipologie di Teshuvà: una specifica, una più generica. Quella specifica intende cercare di espiare una precisa colpa che ci assilla, contro la quale la nostra anima combatte e soffre ogni giorno fino a liberarci dal suo peso.
La Teshuvà più generica non si riferisce ad una precisa colpa, ma è scaturita da un senso articolato di malessere che ci fa sentire come impotenti di fronte al peso dei nostri innumerevoli errori. La conseguenza di questo stato d’animo è l’allontanamento dalla Divinità e la mancanza di autostima: da qui può iniziare il vero processo di Teshuvà.
Il primo step consiste nell’individuare chiaramente ciò che è bene e ciò che è male, quindi usare le nostre forze per allontanarci da ciò che è sbagliato e per avvicinarsi a ciò che è giusto. Il rischio di questo processo è tuttavia quello di disperarsi e perdere speranza di fronte alla presa di coscienza dei propri errori; quando si decide di intraprendere questo percorso di miglioramento delle proprie emozioni, dei propri pensieri e delle proprie azioni, viene risvegliata quella parte nascosta del nostro inconscio che ci illuminerà la strada mostrandoci un cammino chiaro e definito. Questa decisione va presa individualmente ed è molto raro che siano elementi esterni a convincerci di cambiare le nostre attitudini.
Innanzitutto, raramente viene il desiderio di fare Teshuvà; questa è una decisione che va presa consapevolmente. Ora, quando si decide di intraprendere questo percorso di miglioramento individuale dei propri pensieri, azioni e delle proprie emozioni, non bisogna cadere nella trappola della disperazione provocata dall’enormità degli errori commessi; una volta risvegliato questo senso di crescita, l’anima stessa ci aiuta a percepire che proprio questo è il segnale che il viaggio è iniziato. Questo sentimento di delusione, di presa di coscienza dei propri errori, è la prova definitiva che la Teshuvà ha preso posto nel cuore della persona e questo trasforma lo stato d’ansia in uno stato di piacere spirituale.
Prima ancora di chiedere perdono al Signore, “è indispensabile che uno perdoni sé stesso”: è davvero straordinario come Rav Kook riesca a portare tutto ad una dimensione intima ed individuale, ad una necessaria consapevolezza del proprio IO spirituale!
“Allo stesso modo come uno perdona il prossimo” – prosegue il Maestro “, deve perdonare sé stesso in modo sincero (Shmonè Kevazìm, Cap. 1)”.
“Le preoccupazioni che si annidano nel cuore della persona vanno estirpate; le cose buone sono fonti di gioia (Prov. 12:25)”. Abbiamo già visto nell’articolo precedente, come è importante che la persona si impegni a correggere quello che è in grado di correggere; ciò che invece non crede di essere in grado di cambiare, va semplicemente estirpato. L’impegno richiesto è quello di trasformare la propria anima, la propria parte spirituale più profonda, al meglio delle sue capacità: “impegnati nei confronti del Signore ed i tuoi piani verranno rispettati (Prov. 16:3)”. Il processo di Teshuvà è talmente profondo che non può essere compiuto in maniera totalmente autonoma, ma richiede un aiuto Superiore; ma l’avviamento deve essere opera della persona. In questo modo i nostri occhi vedranno improvvisamente il bene ed il buono che c’è in noi e questo è fonte di grande benessere e gioia.
Questo cammino richiede una grande presa di coscienza, come visto, ma anche una grande consapevolezza e conoscenza di sé stessi; possiamo mentire a chiunque, nasconderci e mascherarci: non possiamo mentire o nasconderci a noi stessi, né a Dio. Ognuno nel suo intimo conosce i propri limiti, ognuno è assolutamente consapevole di che cosa può migliorare ed in che cosa invece difficilmente riuscirà a crescere.
Bisogna dunque credere in sé stessi, dato che il nostro profondo IO, come detto, è puro e ci guida verso un cammino positivo. Il faro che guida questo cammino è la Torah; tutto ciò che ci porta lontano dalla Torah deve essere visto come un errore da correggere. La Torah appartiene ad ogni Ebreo allo stesso modo, ognuno ha le medesime potenzialità del suo prossimo. E’ quindi all’interno della Torah che va ricercato il proprio modo di essere.
La pratica delle Mizvòt è la nostra linfa vitale e deve essere vissuta con gioia, non come un ostacolo al nostro modo di essere o come un velo che ci separa dal nostro rapporto con il prossimo; allo stesso modo come siamo orgogliosi di “essere ciò che siamo”, dobbiamo essere orgogliosi di praticare i dettami della Torah.
Superficialmente vediamo dentro di noi “il falso Io”: spesso l’uomo è motivato dalla sua parte più materiale a cercare verità e saggezza laddove è più facile trovarle. Nel nostro essere più intimo risiede già “il vero Io, che non va cercato lontano da noi stessi.
Il rischio tuttavia è quello di cercare un’immediata ascesa a livelli superiori di moralità e spiritualità, mentre, come abbiamo già detto, è indispensabile che la passione che ci trascina in questo movimento di crescita ci porti a salire gradino per gradino. Quando saliamo su di una scala, guardiamo sempre verso l’alto, verso il piolo successivo e la fine della scala stessa; cercare di saltare un gradino può essere estremamente pericoloso se non addirittura fatale.
Il giorno di Kippur si avvicina e siamo avvolti da un’atmosfera di ansietà ed incertezza, siamo travolti dai nostri errori, siamo disperati per tutte quelle volte che abbiamo perso la pazienza fino a credere di essere delle cattive persone. A questo punto si aprono due strade dinnanzi a noi: una ci porta verso le distrazioni ed il soffocamento di queste sensazioni e ci dedichiamo a ciò che in realtà non ci soddisfa ma apparentemente ci appaga. La seconda, che è chiaramente indicata a coloro che vogliono vederla, si chiama Teshuvà: tornare a sé stessi.