Behàr Sinài

Nella parashà di Behàr, la prima delle due che leggeremo Shabbàt, viene descritta la Mizwà del settimo e del cinquantesimo anno. Ogni settimo anno, da quando i figli d’Israele entrarono nella Terra con Yehoshua, i campi dovevano essere lasciati incolti e i debiti da prestiti andavano in prescrizione. Dopo aver contato sette cicli di sette anni, il cinquantesimo anno era l’anno del “Giubileo”; i servi ebrei dovevano essere liberati e le proprietà agricole che nel frattempo erano state vendute, dovevano essere restituite ai proprietari originali o ai loro discendenti.
Nella Haftarà della settimana viene raccontato di Hanamèl, cugino del profeta Geremia, che costretto dalla povertà a vendere un suo campo, si rivolse al profeta chiedendogli di acquistarlo. Siamo nel periodo dell’assedio Babilonese…:
«Ecco le opere di assedio hanno raggiunto la città per espugnarla; la città sarà data in mano ai Caldei che l’assediano con la spada, la fame e la peste. Ciò che tu avevi detto avviene; ecco, tu lo vedi. E tu, O Signore, mi dici: Comprati il campo con denaro e chiama i testimoni, mentre la città sarà messa in mano ai Caldei!  Allora mi fu rivolta questa parola dell’Eterno: Ecco, io sono l’Eterno, Dio di ogni essere vivente; qualcosa è forse impossibile per me?».
Possiamo capire l’importanza di mantenere le proprietà mobili all’interno della famiglia, anche in guisa del fatto che sarebbe poi stato più semplice redimerle con il Giubileo. Quello che Geremia non capisce è come ciò potesse essere rilevante in quel frangente; i Caldei stavano conquistando la terra e tutti gli abitanti avrebbero perduto le loro proprietà. Geremia ricevette l’ordine Divino di acquistare il campo perché alla fine la terra sarebbe ritornata ai discendenti di Hanamèl.
L’insegnamento che possiamo trarre dalla vicenda è che il Giubileo non è solo una legge, ma anche una promessa. Una persona vende la terra per varie ragioni nel primo dei cinquant’anni del conteggio e sa già che più tardi un figlio o un nipote (che potrebbe anche non essere al corrente di avere una terra ereditata) ne prenderà il possesso, con il suono dello shofàr. Il messaggio è particolarmente attuale: non esiste situazione senza via di uscita; ci sarà sempre un futuro per il popolo ebraico anche se il presente sembra buio.