La Parashà di Tetzavvè è particolarmente nota per un “dettaglio”: è l’unica di tutta Torà nella quale – dalla sua nascita – Moshè non viene menzionato. Una delle spiegazioni più conosciute, riporta ciò che Mosè stesso disse al Signore che voleva punire il popolo dopo il vitello d’oro: “se non vuoi perdonarli…cancellami dal Tuo libro che hai scritto”: i Maestri spiegano che la parola “Sifrechà – il tuo libro”, può essere letta come Sèfer Chaf – il libro 20, e questa è appunto la ventesima delle Parashiòt della Torà.
Tuttavia, come abbiamo più volte spiegato, il Nome di Moshè non appare esplicitamente, ma la sua figura permea comunque tutta la Sidrà.
Vediamo assieme una differente angolazione.
Il primo verso della Parashà – E Tu comanderai ai figli d’Israele – (che come detto “sembra” riferirsi a Moshè), manca del soggetto della frase, che rimane indefinito, riferendosi a un tu generico; inoltre il verbo “comandare” è molto diverso da “dire, parlare” che la Torà usa in modo ricorrente.
Secondo I Maestri, il verbo “comandare” lo si trova in relazione a quei precetti che sono validi in ogni epoca ed in ogni tempo. Questo verso si riferisce in particolare all’accensione della Menorà, il Candelabro che stava nel Santuario ma che non aveva lo scopo di illuminare localmente, bensì quello di diffondere la luce al di fuori del Santuario stesso. Questa Mizwà è specificatamente valida anche oggi ad esempio applicata col Ner Tamìd (Lume perenne) che viene installato in ogni Sinagoga e che per l’appunto non si spegne mai. Secondo altre interpretazioni, questo precetto si riflette nei Lumi dello Shabbàt accesi ogni Venerdì sera nelle nostre case e servono (tra l’altro) a creare atmosfera.
Il fatto che la Torà non espliciti il nome di Moshè, ma si riferisce ad un “tu” generico, sta anche a rendere questi precetti assolutamente universali, vanno applicati da chiunque, dovunque e non sono obbligo specifico di qualcuno. Il pronome Tu in questo caso si rivolge ad ognuno di noi che ha il dovere di tramandare “ai figli d’Israele” sempre e dovunque l’universalità dei “comandamenti” della Torà.