Vayèshev

E’ davvero possibile o è solo auspicabile rimanere attaccati a D-o in un mondo come il nostro? E’ davvero possibile vivere una vita comune, avere un lavoro, una famiglia, con tutti i problemi annessi e rimanere comunque connessi alla Divinità, “senza se e senza ma”? Premesso che siamo comunque tenuti ad una vita materiale e che questa comporta delle scelte a volte difficili che spesso si tramutano in ostacoli, la domanda ci viene rivolta per metterci di fronte ad una scelta di priorità; per fare un esempio, sappiamo che Shabbàt è vietato lavorare e non sono ammesse eccezioni; allo stesso modo, se capitasse un’emergenza di salute durante lo Shabbàt, è nostro dovere occuparcene senza temere di profanare lo Shabbàt stesso. In altre parole, lo Shabbàt ha la priorità sul nostro comportamento, ma non sulla nostra vita.
La storia di Yosèf, che la Torà ci racconta questa settimana, è un chiaro esempio di come vivere una vita ebraica miscelata ai problemi di tutti i giorni sia molto più che possibile. Yosèf fu gettato dai propri fratelli in un pozzo in mezzo al deserto, poi da loro stessi venduto come schiavo ad una carovana, il tutto per motivi di profonda gelosia; fu sradicato dalla sua famiglia e dall’affetto di chiunque, lontano dal suo Paese in mezzo a gente sconosciuta ed ostile. Non solo fu schiavo, ma finì lungamente in prigione ingiustamente, dovette resistere a tentazioni molto forti alle quali molti di noi avrebbero sicuramente ceduto…Eppure, quasi al culmine della sua “carriera”, quando era nella casa di Potifar, la Torà ci dice che “D-o era con Yosèf…(Genesi 39:21)”. Nonostante le difficoltà che egli dovette attraversare, nonostante le incredibili vicissitudini che dovette affrontare, le situazioni di grave pericolo in cui suo malgrado si trovò, la Torà ci sottolinea come fosse evidente, perfino agli occhi di Potifar, il fatto che Yosèf  fosse integro nel suo rapporto con D-o, fino al punto che D-o stesso “era con lui”.