Toledòt

La Torà è sempre molto attenta a ciò che ci racconta e quindi a ciò che ci insegna. A volte il Testo si dilunga con dovizia di particolare su vicende apparentemente banali…A volte vengono dati insegnamenti profondi in pochissime parole. La Torà ha una “sua linea” che si chiama “Chochmàt HaTorà – la sapienza della Torà” che spesso trascende dalla nostra comprensione; tuttavia è importante sottolineare che questa “sapienza” è intesa a rivelarci precisi insegnamenti: ciò che possiamo imparare con il nostri studio, la Torà si limita ad indicarlo; ciò che invece non capiremmo solo con lo studio, viene descritto e raccontato nei minimi particolari.
Della vita dei Patriarchi, ad esempio, non sempre conosciamo i dettagli, spesso siamo a conoscenza solo di alcuni episodi; Avrahàm ci viene “presentato” che ha già 75 anni… E’ il caso anche della vita di Isacco, di cui la Torà – essenzialmente – ci racconta due fatti salienti: la legatura sull’altare ad opera del padre Avraham e lo … scavare pozzi (!) di cui la Torà ci parla questa settimana. È strano che la Torà dedichi attenzione a questi due momenti molto distanti e diversi fra di loro. Inoltre, i commentatori discutono su cosa sia successo ad Isacco tra questi due eventi, periodo di cui la Torà non parla: secondo alcuni si è recato a studiare presso Shem ed Ever, secondo altri è rimasto in “Gan Eden” dove è andato dopo l’esperienza di Har Hamorià.
Perché la Torà non ci dice chiaramente che cosa ha fatto Isacco in questi anni? Perché sceglie di raccontarci “solo” questi due momenti della sua vita? In questa Parashà incontriamo Isacco che scava pozzi e lo ritroviamo al suo capezzale…
I Maestri spiegano che Isacco è una persona straordinaria e la sua caratteristica principale è quella di essere stato “un olocausto puro”: Isacco era disposto a farsi sacrificare sull’altare e questo gli ha meritato una sorta di Santità molto profonda, tanto che questo lo avrebbe addirittura portato in Gan Eden. Ma Isacco non è un Angelo, è padre di Yakov ed Esav e con questo problema terreno deve comunque misurarsi; non è dunque destinato a godere dei piaceri dell’Eden!
Isacco, quindi, rientra fra i mortali e… scava pozzi: Isacco ha la capacità di materializzare la Santità dell’Eden nel mondo fisico in cui deve vivere e con la cui realtà deve convivere e contro cui a volte deve combattere, portando la “Kedushà” fino ai meandri della terra.
Ma veniamo a noi che NON siamo Isacco, che NON siamo stati sull’altare pronti ad essere sacrificati e che certamente non siamo stati in Gan Eden! Che cosa possiamo imparare noi oggi dai due episodi della vita di Isacco narrati nella Torà, la Legatura e lo scavare pozzi?
L’insegnamento è molto profondo e riguarda la vita quotidiana di ognuno di noi. Tutti abbiamo momenti (chi più chi meno) che dedichiamo alla Torà ed alle Preghiere, tutti abbiamo a che fare con una vita terrena, dunque un lavoro, dei figli, occupazioni di carattere fisico. L’Ebreo ha come compito di viere in parallelo queste “due vite”: dedicare momenti importanti alla vita che chiamiamo “spirituale” (la “legatura di Isacco”) e momenti dedicati alla vita “materiale”, rappresentati in questa Parashà nel modo più evidente possibile ossia tramite “lo scavare pozzi”. La nostra difficoltà sta nel non tenere separati questi due momenti, piuttosto cerchiamo di utilizzare la nostra spiritualità nella vita di tutti i giorni.