Haazinu

Questa Parashà è uno dei “cantici” che troviamo nella Bibbia, nel Tanàch.
E’ già di per sè significativo che Moshè lasci come “testamento” ai figli d’Israele una cantica…
Ci soffermeremo sulle prime parole della Parashà.
“Ascoltate cieli ed io parlerò, sentirà la terra le mie parole”. La torà usa due verbi distinti: “Haazinu – Ascoltate” e “Vetishmà – e sentirà”, che, in particolar modo in ebraico, hanno etimologia differente.
Ascoltare, significa porre attenzione, come a qualcuno che ci parla da vicino in prima persona; sentire invece è come una voce più distante, cui si pone meno concentrazione.
Rileggendo qundi il primo verso della Parashà, possiamo capire come Moshè fosse più vicino ai cieli (ascoltate…) e più distante dalla terra (sentirà…) laddove il Cielo rappresenta la spiritualità, e la terra la materialità. Ma, come sappiamo, la Torà non parla a Moshè, bensì a tutti noi; e come facciamo noi ad essere più vicini “ai cieli” che “alla terra”?
Ci sono diverse spiegazioni; ne vediamo assieme due.
La prima: ogni ebreo possiede dentro di sè un pizzico dell’Anima di Moshè Rabbenu, per cui potenzialmente chiunque può avvicinarsi ai cieli e staccarsi dalla terra, come fece Moshè. Questa risposta forse soddisfa poco e sembra invitarci ad una vita ascetica che invece per noi non è prevista.
La seconda risposta, trova senso particolare proprio quest’anno, quando la parashà di Haazinu si legge subito dopo Yom Kippur (in ogni caso viene letta o subito prima o subito dopo).
Abbiamo tutti vissuto nelle 25 ore di ieri un’esperienza molto particolare, che il digiuno e le preghiere ha reso molto più sensoriale del solito. In particolare, la Tefillà di Neilà ci ha proiettati in una realtà parallela, di grande spiritualità che in ogni caso ha lasciato traccia profonda nelle nostre Anime. Da qui la risposta alla nostra domanda: dopo Kippur siamo tutti veramente più vicini  “ai cieli” che “alla terra”: sta a noi saperne approfittare nel modo migliore.